CAPITOLO 1 (29/01/2009)
Era una fredda giornata di Gennaio e il recinto era pieno di fango.
Piovigginava, e io stavo lì in piedi, davanti allo steccato, il respiro formava nebbia davanti ai miei occhi.
Nella fretta d’arrivare, ero uscito di casa senza nemmeno il cappello e senza guanti: correndo da casa avevo afferrato al volo solamente la giacca a vento dal solito appendino nell’ingresso.
Se mi fossi fermato a riflettere, avrei fatto ciò che facevo sempre quando sentivo il telefono trillare:
niente, o al massimo avrei aspettato che qualcuno rispondesse.
Questa volta, però, quando la mia amica mi aveva telefonato per dirmi che all’allevamento di “Santa Veneranda” erano appena arrivati una decina di cavalli, avevo agguantato la giacca ed ero salito in macchina.
Non so perchè questa volta fosse andato così, perchè in un istante, avessi deciso di fare qualcosa che prima avevo sempre evitato. Non ero abituato a correre per andare a vedere cavalli, anche perchè se corri, loro corrono più di te, e poi il cavallo non è mica un cane? L’avete mai visto un cavallo da vicino? E’ enorme..il viso potrebbe risultare anche simpatico, ma è grosso.. proprio grosso, ha due gambe più lunghe delle mie.
Allora che cosa ci facevo davanti a quello steccato a guardare dieci cavalli “incazzati” che schizzavano fango dappertutto.. c’erano anche 3 femmine, non sono un inteditore, ma penso che i puledri seguono le mamme.., tutti seguiamo sempre le mamme e quei tre puledri avevano un espressione del tipo: ma che ci faccio qui? bhè io seguo mia madre così non sbaglio mai.
MI chiedevo perchè avevo risposto a telefono, a una amica poi che quando chiama.. fingo sempre di non esserci, è una che parla parla.. e io mi stanco, mi stanco a starla a sentire.
Forse sarà stata una reazione automatica dovuta a un amore antico e profondo per gli animali, un amore che mi porto da quando ero piccolo, qualsiasi animale vedevo in strada volevo portarlo a casa, non per possederlo ma per curarlo, assicurarmi che avesse sempre cibo a disposizione, un posto dove poter dormire, gli animali in strada mi hanno sempre fatto molta tenerezza e Giò lo sapeva, per questo alcuni giorni prima mi aveva accennato che lo zio doveva importare dei cavalli dall’estero e che appena arrivati voleva mostrarmeli.
Però a dirvela tutta non è che dei cavalli non me ne fregasse proprio “un fico secco”, altrimenti non balzavo come un fringuellino, anzi, conoscendomi sapevo che dentro quel ricordo mi turbava un po e al tempo stesso mi suscitava rimpianto per un mondo ormai scomparso, fatto di carrozzine, ferri appesi ai muri, balle di fieno.. tante balle e quell’odore di cavallo che ti rimane addosso anche dopo che ti sei “docciato” uno, due, tre volte.. si anche tre volte.
Un ricordo che mi portava indietro di tanti anni, quando i miei zii, mio nonno avevano tanti cavalli, io avevo solo sette anni e intorno a me un ‘interrotta fiera di cavalli: ogni giorno, dappertutto, sempre.
Io osservavo mentre li strigliavano, con la pompa dell’acqua per ore bagnavano gli zoccoli e le gambe, per la circolazione del sangue dicevano e quanta paia di stivali, di spazzole e di finimenti tutti in cuio appesi al muro con dei chiodi dalla testa grossa.
Guardando pensavo che fosse ingiusto non essere nato in un epoca in cui i cavalli rappresentavano l’unico mezzo di trasporto. Mai avrei pensato di averne uno, una responsabilità troppo grande, il problema di dove tenerlo, essere incapace di soddisfare tutte le sue necessità, un cavallo ha bisogno di un cavaliere esperto, una persona che sa gestirlo, accudirlo e anche muoverlo, eh si, ricordo che mio nonno lo toccava solo leggermente e lui “Igor”.. si muoveva subito: avanti, indietro, di lato lo faceva persino abbassare, si sdraiare a terra e poi lo accarezzava dappertutto e mi diceva: ” i cavalli vanno accarezzati ritmicamente, così si calmano, e quando lo sei riuscito ad accarezzare tutte le parti del suo corpo .. lui saprà che tu sei suo amico e tu saprai di avere un fedele compagno”.
Quelle parole me le ricordo ancora “fedele compagno”… bhè forse Igor era proprio il suo compagno ma “sti pazzi” scatenati quando si lascieranno accarezzare dappertutto.
Accanto a me, difronte al recinto c’era Giò, parla tanto Giò ma quel giorno nono disse una parola, stava lì ad osservare una cavalla che si era separata dal gruppo e con il suo puledro era rimasta in un angolo del paddock ad osservare tutti gli altri che si divertivano.
Si dovranno pure sgranchire le gambe dopo ore e ore di viaggio, lei invece era lì in quell’angolo e Giò la fissava con il sorriso sulle labbra, questa cosa mi iniziò a preccupare, quando giò non parla significa che pensa tanto.. e se pensava troppo era pericoloso, anche per me.
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